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Tosca
è un'opera lirica in tre atti di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe
Giacosa e Luigi Illica. La prima rappresentazione si tenne a Roma, al Teatro
Costanzi, il 14 gennaio 1900.
Il libretto deriva da
L'azione si svolge a Roma nel 1800,
nell'atmosfera tesa che segue l'eco degli avvenimenti rivoluzionari in Francia,
e la caduta della prima Repubblica Romana.
Angelotti, bonapartista ed ex console della
Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di Castel Sant'Angelo e cerca
rifugio nella chiesa di Sant'Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa
Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli permetterà di
passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro
dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi. Quando irrompe nella chiesa un
sagrestano, Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano,
borbottando, mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco
sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto. Il sagrestano finalmente
si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella, Angelotti, che conosce da tempo
e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga ma
l'arrivo di Floria Tosca, l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a
rintanarsi di nuovo nella cappella. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso
per quella sera. Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della
Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica,
riesce a calmarla e a congedarla.
Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il
dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in
periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel
Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo
nella fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il
ventaglio nella cappella.
La falsa notizia della vittoria delle truppe
austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che
invita l'indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum
di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone
Scarpia, capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta
fortemente di Mario, anch'egli bonapartista.
Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e
poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, ritornata in
chiesa per informare l'amante che il programma era sfumato in quanto ella era
stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l'avvenimento
militare. Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca usando il ventaglio
dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo
incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Scarpia, che ha
raggiunto il suo scopo, la fa seguire. Mentre Scarpia pregusta la sua doppia
rivalsa su Cavaradossi - ucciderlo e prendergli la donna - comincia ad affluire
gente in Chiesa per inneggiare alla vittoria e a cantare il "Te, Deum".
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si
sta svolgendo una grande festa alla presenza del Re e della Regina di Napoli,
per celebrare la vittoriosa battaglia; nel suo appartamento Scarpia sta
consumando la cena. Spoletta e gli altri sbirri conducono in sua presenza Mario
che è stato arrestato. Questi, interrogato, si rifiuta di rivelare a Scarpia il
nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene
torturato.
Tosca, che poco prima aveva eseguito una
cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che
ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell'uomo amato, la
cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino
della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende
del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento
arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe
austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a sconfiggere gli austriaci
a Marengo. A questo annuncio Mario inneggia ad alta voce alla vittoria, e
Scarpia lo condanna immediatamente a morte, facendolo condurre via. Disperata,
Tosca chiede a Scarpia di concedere la grazia a Mario. Ma il barone acconsente
solo a patto che Tosca gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo
della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio. Ma tutto è inutile:
Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi
Spoletta e, con un gesto d'intesa, fa credere a Tosca che la fucilazione sarà
simulata e i fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che
permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca
per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo accoltella con un coltello trovato
sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere e, prima di
uscire, pone religiosamente due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un
crocifisso sul suo petto, e finalmente esce.
È l'alba. In lontananza un giovane pastore
canta una malinconica canzone in romanesco. Sui bastioni di Castel Sant'Angelo,
Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un'ultima lettera d'amore a
Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla. La donna arriva
inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere Scarpia.
Gli mostra il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata.
Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Ma Mario viene fucilato
veramente e Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il
cadavere di Scarpia, grida "O Scarpia, avanti a Dio!" e si getta dagli spalti
del castello.